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Arti marziali (interne) voce e canto

La voce e le arti marziali si incontrano in una zona virtuale dove l’energia, il corpo e la mente si fondono. La pratica della vocalizzazione nelle arti marziali è un esempio potente di come il suono può avere un impatto fisico e psicologico sul corpo, e di come le frequenze sonore possano essere utilizzate per migliorare non solo la tecnica, ma anche la consapevolezza e la spiritualità del praticante. Diverse discipline marziali attribuiscono un’importanza specifica alla respirazione, al suono e alla risonanza vocale come parte dell’allenamento e della performance.  In molte arti marziali orientali, come il Tai Chi e l’Aikido, si enfatizza l’importanza di connettersi con la propria energia interna, o qi. L’uso della voce, anche solo come vibrazione interna durante l’espirazione, può aiutare a radicare e a stabilizzare la mente e il corpo. Questa connessione può essere particolarmente potente quando il praticante utilizza suoni gravi o note basse, che creano una risonanza profonda e calmante. Questi suoni vengono spesso emessi durante il movimento, soprattutto nelle tecniche di spinta o nelle fasi di rilascio dell’energia.

Uno degli esempi più noti dell’uso della voce nelle arti marziali è il kiai, (気合: “grido” o “spirito combattivo”) un grido ottenuto da una forte espirazione ventrale che consente di rilasciare l’energia al momento dell’assalto. Nel kendō, ai principianti viene insegnato a gridare il nome della parte bersaglio del colpo (kote, men, dō, tsuki) per sviluppare il kiai. Questo suono, emesso con forza al culmine di un attacco o di una mossa difensiva, ha più scopi: aiuta a liberare energia, a intimidire l’avversario, e a focalizzare l’intenzione del movimento. Il kiai è una forma di “canto marziale,” una vibrazione vocale che mira a mettere in sincronia il corpo e la mente, generando uno stato di flow in cui l’intenzione e il gesto si fondono in un’unica azione. Alcuni studi suggeriscono che l’uso del kiai può effettivamente aumentare la forza fisica e la potenza del colpo grazie alla contrazione muscolare indotta dalla vibrazione sonora.

Alcune pratiche cinesi, come il Qigong e il Kung Fu, utilizzano suoni specifici per controllare la respirazione e promuovere la salute energetica del corpo. Questi suoni, noti come “i sei suoni segreti” nel Qigong, aiutano a stimolare organi interni e a migliorare la circolazione del qi. Questa pratica si basa sul principio che il corpo, come uno strumento musicale, risuona a specifiche frequenze, e che il suono giusto può favorire l’armonia interna e il rilassamento. Le vibrazioni create dai suoni vocali possono anche avere un effetto sulla muscolatura. L’azione di emettere suoni come grida o anche solo suoni ritmati può portare ad un miglior controllo della contrazione muscolare. Alcuni atleti usano il grido non solo come un modo per caricare il corpo di energia, ma anche per rendere più fluida e potente l’esecuzione di un movimento.

Gli stili interni delle arti marziali cinesi nascono dalla fusione tra pratiche meditative, influenzate dal Buddismo e dal Taoismo, e le tradizioni marziali radicate nei villaggi cinesi. Questo incontro ha dato vita a discipline in cui la ricerca dell’equilibrio, tanto fisico quanto mentale, è il fulcro della pratica, trasformando le arti marziali in un percorso di crescita personale e spirituale. L’idea centrale di queste discipline è che la vera forza risiede non nell’azione aggressiva, ma nella capacità di armonizzare corpo, mente ed energia. Gli stili interni si fondano su alcune caratteristiche fondamentali che riflettono l’unione tra tecnica marziale e ricerca meditativa:

Elasticità e coordinazione
Gli stili interni enfatizzano la flessibilità come qualità indispensabile per muovere il corpo in armonia. I piedi rappresentano la connessione con la terra, la testa con il cielo e le mani con lo spazio intermedio. Ogni gesto diventa un ponte tra questi elementi, creando un’unità armoniosa.

Gesti lenti e consapevoli
La lentezza dei movimenti è il segreto per costruire l’unità tra corpo e spirito. Gesti deliberati e precisi educano il praticante a percepire ogni minima tensione e a rilasciarla, portandolo a un controllo sempre maggiore del proprio corpo e della propria energia.

Rilassamento  come forma di connessione alla forza vitale
L’abbandono delle tensioni muscolari è essenziale per permettere ai fluidi corporei e al respiro di scorrere liberamente. Questo rilassamento non è sinonimo di debolezza, ma di forza flessibile, capace di adattarsi e di fluire liberamente senza ostacoli.

Immobilità e il principio del Wu Wei
La pratica della quiete, anche nel movimento, permette di raggiungere lo stato di wu wei, ovvero il “agire senza forzare” (il non agire). Questo concetto taoista suggerisce che l’azione più efficace nasce dalla totale assenza di resistenza mentale o fisica, permettendo al corpo di rispondere spontaneamente e in modo naturale agli stimoli esterni.

Alternanza di pieno e vuoto
Il praticante degli stili interni impara a giocare con l’equilibrio tra pieno (durezza ed esplosività) e vuoto (distensione e rilassamento). Questa alternanza è ciò che rende una tecnica fluida ed efficace, capace di neutralizzare l’avversario senza uno sforzo eccessivo.

Presenza  come allenamento dell’intenzione
Il lavoro sull’intenzione è fondamentale. L’energia segue il pensiero, e attraverso la presenza  il praticante coltiva il corpo e lo spirito, sviluppando un controllo continuo e totale del proprio essere.

I praticanti di queste discipline cercano un controllo completo del corpo, sviluppando la capacità di passare da uno stato all’altro con leggerezza e consapevolezza. Quando un attacco viene sferrato, essi lo neutralizzano attraverso una contrazione controllata dell’energia interna (qi), per poi rilasciarla in maniera esplosiva al momento opportuno. Questo processo non è solo fisico, ma anche mentale: richiede calma e una profonda connessione con il proprio centro. In un mondo sempre più frenetico, la filosofia degli stili interni offre una via per coltivare l’equilibrio e la consapevolezza. La loro pratica non è solo utile per la difesa personale, ma anche per il benessere psicofisico, poiché insegna a muoversi con intenzione, a respirare profondamente e a rispondere agli eventi con flessibilità. Questa saggezza, ereditata dai villaggi e monasteri cinesi, rimane oggi più che mai un potente strumento per affrontare le sfide quotidiane con serenità e forza interiore.

Nella mia personale esperienza ho riscontrato che alcuni artisti marziali, specialmente quelli che praticano arti interne, hanno sperimentato tecniche vocali come il canto armonico. Attraverso la pratica del canto armonico, l’artista marziale può esplorare la propria voce come mezzo di meditazione e di auto-espressione profonda, il che può portare ad una maggiore consapevolezza del proprio stato interno. L’uso degli armonici vocali permette una risonanza unica, che può aiutare a canalizzare meglio l’energia e a migliorare la concentrazione. La voce può anche essere uno strumento per accedere a stati alterati di coscienza. In molte arti marziali, si parla di entrare in uno “stato di flusso” o di “vuoto mentale” (chiamato mushin nel Buddismo Zen). Questa condizione mentale è simile a quella che si può sperimentare attraverso pratiche vocali come il canto armonico, il canto dei mantra o il canto vocalico dove la mente razionale si ritira e il corpo agisce in modo spontaneo e intuitivo. Attraverso la pratica della vocalizzazione, l’artista marziale può accedere a uno stato di coscienza in cui la sua risposta è immediata, intuitiva e priva di tensione.

Il canto nelle arti marziali aggiunge un livello ancora più profondo di connessione tra mente, corpo e spirito, esplorando non solo la voce come veicolo di energia, ma anche come strumento di equilibrio e centratura. Mentre suoni come il kiai sono pensati per esplosioni di potenza, il canto introduce un aspetto più meditativo e continuo, utile per il mantenimento dell’energia e per favorire la concentrazione durante l’allenamento.

Un’arte marziale come la Capoeira brasiliana, include il canto come elemento fondamentale dell’allenamento. Il canto ritmico accompagna i movimenti, contribuendo a creare un flusso armonico tra l’atleta e il ritmo musicale. Il canto permette al praticante di entrare in sintonia con il proprio corpo, rispondendo in maniera più fluida e intuitiva ai movimenti dell’avversario. Inoltre, aiuta a stabilire un ritmo interno costante, che mantiene l’energia senza sprechi. Alcuni praticanti di livello avanzato usano il canto come strumento di visualizzazione. Cantare una nota lunga e continua può aiutare a creare una “mappa mentale” dei movimenti, permettendo così di focalizzare la propria intenzione su specifiche parti del corpo o su una tecnica in particolare. L’idea è che il canto diventi un mantra che guida la mente e il corpo attraverso l’azione, rendendo il gesto più preciso e l’intenzione più focalizzata. Questo è particolarmente utile nelle arti marziali interne, dove il controllo mentale e la consapevolezza del corpo sono fondamentali. Il canto armonico, in particolare, ha un potenziale speciale nelle arti marziali, soprattutto quando si esplorano tecniche più spirituali. Pratiche come il canto difonico (in cui si producono due note contemporaneamente) permettono di creare frequenze che risuonano nel corpo e nella mente, generando uno stato di profonda consapevolezza e connessione con se stessi. Questo tipo di canto è utilizzato da alcuni artisti marziali come pratica preparatoria, un metodo per raggiungere uno stato mentale libero da distrazioni e pronto ad accogliere le tecniche da memorizzare.

Alcuni maestri marziali, influenzati dalle pratiche zen e taoiste, vedono il canto come un’estensione naturale dell’arte marziale. Proprio come ogni colpo o movimento deve essere eseguito con intenzione, anche il canto è un mezzo per esprimere il proprio potere interiore e armonizzare l’energia. L’idea è che la voce rappresenti una forma di “respiro sonoro”, che, se allineato con il corpo, può intensificare l’efficacia della pratica e persino amplificare l’intento di ogni gesto. Il canto diventa così un’espressione sonora del movimento, una “scia vibrante” che lascia un’impronta di sé anche dopo l’esecuzione della tecnica. La sinergia tra canto e arti marziali va oltre l’uso della voce come semplice espediente tecnico. Il canto diventa una forma di meditazione in movimento, che permette al praticante di entrare in una dimensione intima e spirituale, amplificando la connessione tra corpo e spirito. Questa fusione tra canto e arte marziale non è solo una strategia di allenamento, ma un cammino per raggiungere un equilibrio profondo.

Lorenzo Pierobon 2024 ©

 

Seminario: la voce nella terapia e nella relazione di aiuto 8-9 marzo 2025 – Trieste

La Voce risulta spesso uno “strumento emarginato” nelle relazioni e ancor di più nelle pratiche di cura, ricopre invece un ruolo fondamentale per instaurare un vincolo efficace e per creare un’identità personale ed una coesione gruppale favorevole ad un percorso terapeutico.
Indagare i differenti aspetti della propria voce è una “via” personale che porta “armonicamente” alla conoscenza di se stessi e una relazione sana con gli altri. La voce può quindi recuperare per ognuno di noi la sua collocazione interiore e la sua centralità , e questo grazie al suo ” ascolto”, che in pratica significa ascoltare se stessi.”Sentire” la propria voce equivale a cercare e trovare le strade possibili per una nuova e più autentica relazione con il proprio mondo interno e con il mondo esterno.
Del resto è innegabile che la voce racchiuda il vissuto più o meno segreto che ognuno di noi porta dentro di sé , e la sua espressione, tonalità, timbro, frequenza ecc., ne sono da esso condizionati.

www.musicoterapiavocale.com/presentazione

www.musicoterapiavocale.com/programma-di-pierobon

IL SUONO IMMOBILE

Il ruolo e la gestione del silenzio nel modello di MT Benenzon.

“Generalmente si definisce il silenzio come l’assenza di rumore, di agitazione. Il vero silenzio è molto più di un’assenza di rumore, è al di sopra della parola, al di sopra della musica: è un centro potente da cui scaturiscono tutte le creazioni.

Omraam Mikhaël Aïvanhov

 

“In principio era il Verbo……”, il suono creatore, ma prima del principio, probabilmente, esisteva il suono a cui tutto dobbiamo: il silenzio. Il silenzio alfa ed omega di ogni esistenza, inizio e fine di ogni seduta di musicoterapia, croce e delizia di ogni musicoterapeuta.

Temiamo il silenzio come se fosse portatore di un inganno, di un precipitare verso un vuoto dal quale non sappiamo difenderci. La nostra vita, riempita dalla velocità del fare, dedita alla costruzione di una personalità esteriore, non è più in grado di sopportare l’immobilità del silenzio, che invece si rivela la nostra parte più autentica e ricca di intuizione. Lasciare che questo spazio interiore ritrovi la sua collocazione nel nostro essere ci permette di lasciare il campo alla mente intuitiva ed osservatrice in grado di cogliere tutto quello che può arrivare sotto forma di “percezione improvvisa”, di “lampo”, uno stato interno che da vigore al corpo e chiarezza alle emozioni, spesso contaminate dal giudizio. Quello a cui aspiriamo all’interno di una seduta di musicoterapia è una comunicazione non verbale frutto di un ascolto interiore, dove il paziente non sia considerato un appiglio, ma un compagno di viaggio verso la costruzione di un contenitore emotivo.

L’instaurarsi del silenzio esalta i suoni della vita: il respiro, il battito cardiaco, e ci conduce verso una ricerca nirvanica del mai dimenticato suono intrauterino. Restare nel silenzio, nutrirsi del silenzio, significa attivare un profondo ascolto empatico, prepararsi ad entrare in contatto con l’altro agire nel suo mondo. E’ la capacità di immergersi nello spazio altrui e di partecipare ad una esperienza comune attraverso il non verbale. Il silenzio è una liturgia che attiva la relazione. In musicoterapia questo suono è quasi una necessità che prepara all’ascolto e alla interazione, per questo bisogna coltivare il rispetto e la comprensione del silenzio, questo “non luogo” che da origine all’ascolto, all’attesa, all’accoglienza; il musicoterapeuta ed il paziente li stabiliscono uno spazio profondo di condivisione che spesso si oppone all’isolamento. Una delle difficoltà che incontra il MT nello svolgimento della seduta, a mio avviso, è proprio la gestione del silenzio e di tutte le emozioni e scariche energetiche che ne conseguono, sia da parte del musicoterapeuta, che del paziente. Angoscia, ansia, paura, senso di inadeguatezza, tutti questi fantasmi improvvisamente si materializzano tra le pieghe di questo suono immobile. Molto spesso nelle sessioni di musicoterapia una parte di noi (terapeuti e pazienti) è attratta dal suono, bisogna riconoscere questo, perché la manifestazione sonora impedisce il manifestarsi dell’angoscia, infonde un senso di sicurezza.

Il suono ci protegge da riflessioni, allontana gli incubi, il suono è immediato e prepotentemente presente. Ma cosa pensiamo realmente di fronte al silenzio? Ci preoccupiamo di non capire i comportamenti del paziente? Lasciamo spazio alla sensazione di inadeguatezza? Riteniamo che possa significare una resistenza e per questo ci sentiamo in obbligo di “fare qualcosa” perdendo di vista il focus della seduta? Evidentemente è necessario che il musicoterapeuta abbia eliminato la paura del suo silenzio dalla mente perché questo possa esprimersi come reale valore e non essere interpretato come possibile resistenza. Dobbiamo, allora decidere di accettare il silenzio come “mezzo” e di utilizzarlo per “entrare dentro”, in esplorazione, ma rimanendo saldi nel nostro punto di percezione. Per dare ascolto sia a noi stessi che agli altri per imparare che nel silenzio in realtà c’è il suono. Quello che noi cerchiamo non è nei suoni, ma tra i suoni, non è nelle parole, ma tra le parole, restare nell’universo silenzioso significa ritrovare il mondo del simbolismo e il significato corporeo, o come diceva Simone Weil: “Ogni essere grida in silenzio per essere letto altrimenti”. E allora come fare? Non è sempre facile restare nel silenzio, attendere, spesso mi sono sentito in dovere di interrompere il silenzio per “fare musicoterapia” per non essere obbligato a restare in quell’universo in cui il paziente mi voleva con se. In questi momenti nella testa passano tanti dubbi e tante domande: cosa sto facendo? Quanto ancora dovrò aspettare? Questa assenza di suono sarà produttiva, porterà a qualcosa? E ancora, sentirsi quasi in dovere di produrre un suono, per me, per lui, per chi ascolta ed attende fuori dal setting, spesso mi sono sentito trascinato nella condizione di dover “fare”, per la paura del giudizio di chi non potrebbe capire quell’assenza di suono così prolungata. Padroneggiare adeguatamente questo “non suono”, non è cosa semplice, ma l’esperienza ed il tempo vengono in aiuto, posso dire con certezza che crescere (anche professionalmente) sia stato un aiuto più che concreto nell’aiutarmi a gestire questi momenti. Esperienza e ore di lavoro accumulate aiutano, ma mi metto anche nei panni di chi affronta questo percorso per la prima volta soprattutto in età molto giovane; a mio avviso il saper restare nel silenzio procede di pari passo con l’avanzare dell’età. Un aiuto ulteriore è sicuramente arrivato dall’intraprendere un lavoro ed una ricerca personale, attraverso tecniche quali la meditazione (o altre discipline orientali), che insegnano a stare nel silenzio, a non averne paura, ma a considerarlo un alleato. Il silenzio “esterno” che inevitabilmente si crea sposta l’attenzione verso l’interno, obbligandoci così ad ascoltarci intimamente e ad accedere a quello spazio intimo e silenzioso che mi piace definire il “luogo interiore”.

Lorenzo Pierobon

 

Il canto migliora la qualità della salute nei pazienti Long Covid (The Lancet)

Un programma incentrato sulla riqualificazione respiratoria tramite tecniche di canto e pratiche olistiche.

Studio completo (English Version)

Sempre più spesso si torna a parlare di tecniche legate alla Voce, al canto e al respiro per migliorare la salute fisica e mentale delle persone. Secondo uno studio pubblicato su  Lancet Respiratory Medicine, un programma di respirazione specializzata e pratiche olistiche può migliorare la dispnea e la componente mentale della qualità della vita correlata alla salute nei soggetti con sintomi persistenti dopo Covid-19.

«Ci sono pochi interventi evidence-based per il long Covid, tuttavia, si consigliano pratiche  olistiche a sostegno del recupero. Abbiamo valutato se un programma di respirazione e benessere potesse migliorare la qualità della vita in questa popolazione» spiega Keir Philip, dell’Imperial College di Londra, primo nome dello studio. I ricercatori hanno valutato i dati di pazienti adulti trattati per long Covid nel Regno Unito dopo Covid-19 che presentassero affanno, con o senza ansia, ad almeno quattro settimane dall’insorgenza dei sintomi della malattia. I partecipanti al gruppo  hanno seguito un programma di respirazione e benessere di sei settimane, sviluppato per persone con long Covid che soffrono di dispnea, e incentrato sulla riqualificazione respiratoria tramite tecniche di canto e pratiche olistiche. 
L’analisi tematica dell’esperienza dei partecipanti  ha identificato tre temi chiave, ovvero i miglioramenti nei sintomi, la sensazione che il programma fosse complementare alle cure standard, e la particolare idoneità del canto e della musica a soddisfare i loro bisogni. «Approcci basati sul rapporto tra mente e corpo e sulla musica, che comprendono tecniche di gestione dei sintomi e pratiche ludiche, possono avere un ruolo importante nel supportare la guarigione» concludono gli autori.

Cosa significa educare ai valori? (Diego Miscioscia)

di Diego Miscioscia, psicologo e psicoterapeuta

Dare significato alla propria vita facendo riferimento a valori profondi in cui crediamo rappresenta una delle principali condizioni di serenità e benessere per ogni essere umano. A volte si confonde il benessere legato al possedere dei valori con il possesso di una buona educazione. In realtà, si tratta di cose completamente diverse: un adulto può essere ben educato nelle relazioni sociali e spietato con i propri figli o con la propria moglie.

Questo è il primo anno in cui in Italia è obbligatorio l’insegnamento dell’Educazione Civica. Ma, quanti insegnanti e quanti genitori hanno in mente quali sono le basi naturali di questa disciplina? E’ forse sufficiente inculcare nei bambini e nei ragazzi alcuni principi etici per avere dei buoni cittadini? In effetti, così facendo, rischiamo soltanto di imporre dei comportamenti non sentiti da parte di chi cresce creandogli dei conflitti interni. In adolescenza, poi, quando una regola viene suggerita dagli adulti e non è sentita come propria da parte dei ragazzi, essi di solito tendono a fare proprio la cosa opposta. La vera educazione civica, invece, coincide col far maturare in ogni bambino e in ogni ragazzo delle parti di sé che favoriscono spontaneamente la sua adesione a comportamenti etici.

Non è per niente sufficiente, dunque, pensare per le nuove generazioni a un intervento nozionistico superficiale di qualche ora di Educazione Civica nell’ambito del loro curriculum scolastico. Tale operazione, infatti, rappresenterebbe soltanto una sorta di maquillage superficiale che nasconderebbe il vuoto affettivo e quindi etico a cui è condannato chi cresce all’interno dell’attuale cultura.

Ma cosa sono gli ideali e quali sono le loro basi naturali? E’ di questo che mi occupo nel libro di psicologia “I valori degli adolescenti. Nuove declinazioni degli ideali e ruolo educativo degli adulti” che uscirà con la casa editrice Franco Angeli nell’aprile del 2021.

Provo qui a riassumere quali sono le basi psicologiche che devono guidare un vero progetto di Educazione ai valori nel terzo millennio e le conseguenti implicazioni pedagogiche.

 

Maturazione etica e salute mentale

Vi è una stretta relazione tra la condizione di benessere psicologico e la piena maturazione etica. Questo doppio obiettivo, come rivelano gli studi più recenti della psicoanalisi e delle neuroscienze, si può affermare solamente attraverso lo sviluppo e l’integrazione di tutte le diverse parti del Sé e dei loro impliciti e differenti “sistemi di valore” (sistemi motivazionali o codici affettivi). Se un bambino, ad esempio, non vive un buon attaccamento alla madre, da adulto non svilupperà una base sicura e questo lo porterà a sentirsi sempre frustrato, insicuro e la sua relazione con gli altri sarà improntata sulla dipendenza o sul dominio. Oppure, se un bambino subirà rimproveri e minacce da parte dei genitori, le sue relazioni future saranno condizionate da vissuti paranoici e da atteggiamenti eccessivamente violenti nella gestione dei conflitti. Le sue parti del Sé ferite condizioneranno negativamente tutti i suoi valori.

Quando si lavora in ambito scolastico, dunque, la programmazione di un corso di Educazione ai valori si fa più complessa e implica strategie multi professionali, multi sistemiche e multi modali finalizzate a creare una condizione di democrazia affettiva. La programmazione di un percorso di Educazione ai valori, cioè, dovrebbe essere fatta coinvolgendo diverse figure professionali (insegnanti, psicologi, pedagogisti e formatori), condividendo gli obiettivi con altri sistemi educativi (oltre la scuola, la famiglia, gli ambiti sportivi, ricreativi e religiosi frequentati dai ragazzi, dando una certa importanza anche alla cultura giovanile con cui i ragazzi entrano in contatto) e infine, andrebbero privilegiate scelte metodologiche e strumenti che rafforzino al massimo la capacità dei ragazzi di saper scegliere.

 

Che cos’è la democrazia affettiva?

 La democrazia affettiva rappresenta una condizione d’equilibrio e armonia tra le diverse parti del Sé. Essa è alimentata da una tendenza naturale all’armonia interna ed esterna. Rappresenta, quindi, il correlato neurofisiologico di una cultura di pace. Tale modello, tuttavia, è ostacolato da difese disfunzionali e da tutto ciò che sul piano educativo e relazionale danneggia la maturazione delle diverse parti del Sé. Un educatore o un insegnante, dunque, se vogliono aiutare un bambino nel difficile compito evolutivo di sviluppare forti valori è necessario che sappiano innanzitutto fare un’attenta valutazione della sua condizione psicologica chiedendosi: che esperienze ha vissuto questa persona fino a questo momento? Ha subito traumi, violenze o lutti? I valori che un ragazzo arriverà a costruire spontaneamente, infatti, possono essere stati indeboliti o cancellati del tutto a causa di gravi frustrazioni o carenze subite nei primi legami infantili. A causa di queste ferite, dunque, al posto dell’autostima, del rispetto degli altri e della fiducia nel futuro, egli potrebbe sviluppare soprattutto tristezza, apatia, chiusura, rabbia, ansia, atteggiamenti manipolativi e di controllo. L’insicurezza potrebbe portarlo a rinunciare ai suoi impegni oppure a sviluppare un ideale distorto di perfezionismo. Se non s’interviene in tempo, dunque, difficilmente poi la realtà adulta riuscirà a modificare questi atteggiamenti e vissuti negativi.

 

I sistemi motivazionali

 Le qualità più importanti e profonde dei valori dipendono soprattutto da sistemi motivazionali studiati dalla psicoanalisi e dalle neuroscienze quali l’attaccamento (codice materno), l’accudimento (codice materno e paterno), il sistema cooperativo di scambio e il sistema competitivo di rango (codice fraterno), la sessualità finalizzata alla formazione di una coppia (codici erotici). Oggi, in sostanza, è possibile evidenziare all’interno del cervello i correlati neurofisiologici della nostra attività mentale, in particolare i sistemi affettivi ed emotivi di base da cui scaturiscono le motivazioni personali e le decisioni, che poi tutti noi, da adulti, riconosceremo come espressione dei nostri valori. Quando si è in grado di offrire una risposta adeguata e positiva all’intenzione promossa da un sistema motivazionale, si attiva una ricompensa di tipo emotivo, mentre un insuccesso implica lo sviluppo di emozioni negative. Da questi sistemi motivazionali decollano valori come l’appartenenza, la cura, la comprensione, la compassione, la responsabilità, l’autonomia, la libertà, la solidarietà, la seduzione e lo scambio. Pur essendo una risorsa filogenetica, i codici affettivi richiedono una sorta di saturazione positiva, alimentata dalla cura amorevole del bambino da parte dei genitori. In caso contrario, un soggetto, pur potendo contare sui codici affettivi come risorsa interna, non riuscirà a esprimere al meglio le loro potenzialità e i loro valori.

Trattandosi di dispositivi interni al servizio della vita e della sopravvivenza dell’uomo, i codici affettivi rappresentano in genere il veicolo di sentimenti positivi. Essi, dunque, quando hanno ricevuto una buona saturazione nel corso della crescita, sono anche orientati alla costruzione di buone relazioni di scambio sia a livello intrapsichico e sia a livello interpersonale.

Tutti questi valori implicano una relazione con gli altri: non possono essere insegnati! Essi vanno costruiti all’interno di relazioni significative.

 

Meccanismi interni disfunzionali

La tendenza a radicalizzare la propria verità, a militarizzare il proprio punto di vista affettivo negando il valore e l’utilità degli altri codici affettivi rappresenta una disfunzione psicologica che si attiva facilmente dentro tutte quelle persone che non sono state aiutate a saturare affettivamente in modo equilibrato i diversi codici affettivi.

Questo scelta disfunzionale rappresenta l’ostacolo più importante in vista dell’elaborazione di un’etica matura. L’imperialismo di un unico codice affettivo, infatti, impoverisce il mondo affettivo interno e impedisce il contatto con gli altri valori veicolati dagli altri codici affettivi naturali, che sono stati silenziati da questo dispositivo; diventa inoltre difficile utilizzare la relazione o eventualmente il conflitto come occasione per crescere e per scoprire altri sguardi affettivi, e quindi altri valori utili per muoversi nella realtà.

In questo processo patologico, avviene una metamorfosi negativa anche degli stessi valori che l’individuo ha conservato: da ideali positivi, che sanno dialogare e integrarsi con gli altri codici affettivi dentro l’individuo e nelle sue relazioni col mondo, essi si trasformano in valori rigidi e militarizzati. Così, essi perdono le proprie qualità ideali positive, sia all’interno dell’individuo sia nelle sue relazioni esterne, e si trasformano da utile Ideale dell’Io in una sorta di Super io rigido e violento. Non nutrito dall’amore dei genitori, in lui il codice del bambino esprimerà soprattutto paura, insicurezza, rabbia e dipendenza, il codice materno, a causa dell’ansia, apparirà debole o invischiante e invadente, il codice paterno, privo di buone identificazioni, sarà debole oppure autoritario, punitivo e controllante, l’articolazione del codice fraterno sarà ambivalente: troppo competitiva o troppo diffidente e sottomessa.

 

Cultura, valori e condizionamento sociale

 L’uomo non ha ancora acquisito dentro di sé la capacità di tradurre nella realtà in una forma armoniosa, completa e integrata tutta la complessa dotazione valoriale di cui dispone naturalmente. Non a caso, tutti i modelli sociali e politici che si sono affermati nel corso della storia umana rappresentano solo un’espressione parziale dei valori naturali: sono, quindi, da un punto di vista psicologico dei modelli incompleti. Per sostenere chi cresce, la cultura in tutte le sue diverse manifestazioni (religione, filosofia, scienze sociali, diritto, politica, sistema educativo e scolastico, narrazioni artistiche e letterarie, ecc.) nel corso dei secoli ha cercato di tracciare delle strade con indicazioni sempre più precise per trasmettere alle nuove generazioni la cornice etica dentro cui muoversi. Una volta imposti nella società come morale, e quindi come costume (la parola morale deriva dal latino mos, moris, significa, cioè, costume; allo stesso modo, anche la parola etica etimologicamente deriva dal greco antico etos, etikos che ha lo stesso significato di costume), tali strade diventano l’etica di riferimento per quella determinata società. Ogni morale sociale, tuttavia, più che essere un costume utile per la definizione dei propri valori, spesso si è trasformata in una corazza rigida che ha impedito alle nuove generazioni di evolversi o più semplicemente di pensare con più equilibrio a ciò che è giusto o sbagliato. Nella società, dunque, oggi come ieri, sono sempre stati presenti degli agenti patogeni capaci di condizionare negativamente i valori naturali di chi cresce. Oggi la ricerca dei propri valori da parte dei giovani si arresta molto presto a causa di elementi patogeni presenti nell’attuale cultura sociale: se sono scomparse, infatti, le grandi ideologie moralistiche, al loro posto è subentrata una cultura edonista e narcisistica che condiziona soprattutto gli individui più fragili. Ne deriva l’incapacità da parte di molti ragazzi di definire un proprio orizzonte etico.

Avere dei valori sentiti profondamente favorisce il benessere psicologico e offre sicuramente maggiori garanzie di creatività rispetto a una vita piatta, tranquilla e priva di scopi.

Diego Miscioscia; Psicoterapeuta, socio fondatore dell’Istituto Minotauro dove insegna nella scuola di psicoterapia. Ha pubblicato numerosi volumi. diegomiscioscia@libero.it

 

Asclepeion il tempio della Voce

In questo tempo “sospeso” abbiamo sperimentato diversi stati, raccoglimento, silenzio, paure, morte e rinascita; Elaborare queste emozioni significa trarre un prezioso insegnamento che possa dare luogo a una reale nuova “nascita”. Per fare questo abbiamo bisogno di prenderci cura di noi stessi, di trovare un luogo (anche fisico) che possa permetterci di trasformare tutto ciò e di metterlo a disposizione per effettuare un salto di qualità in questa nuova esistenza.

Credo fermamente che utilizzare la Voce come “strumento sacro”, unita alla forza della presenza e dell’intenzione possa contribuire fortemente a questo processo di purificazione e di liberazione dalle paure patologiche. Luoghi fisici e luoghi virtuali ospiteranno questa nuova ritualità finalizzata al recupero del benessere personale.

© Lorenzo Pierobon 2020

I templi sotterranei

erano anche luoghi di guarigione e rinascita, in cui entrare col carico dei malanni e uscire rigenerati. Questo processo di purificazione poteva avvenire in vari modi: mediante l’aspersione con acque rese sacre dalla “presenza” del Numen  (Ablutio), il sonno rituale in grotta (Incubatio), o il passaggio per un varco naturale, il cui superamento rappresentava la morte simbolica del vecchio essere umano e la nascita del nuovo. (fonte wikipedia)

Riti eseguiti presso l’Asclepeion

C’erano due passaggi affinché un paziente potesse essere trattato nell’Asclepeion. Il primo dei quali era la fase di catarsi o purificazione. Ciò avveniva quando un paziente si sottoponeva a una serie di bagni e altri metodi di purificazione, come una dieta pulita per alcuni giorni o purificando le proprie emozioni attraverso l’arte. Il paziente quindi faceva un’offerta in denaro o una preghiera al tempio di Asclepio. Il sacerdote del tempio quindi offriva al paziente una preghiera con cui avrebbe alleggerito la mente del paziente e avrebbe creato una prospettiva più positiva per loro.

Successivamente, arrivava l’incubazione o terapia dei sogni. Questo era il processo in cui i pazienti avrebbero passato la notte nel tempio di Esculapio e durante la notte sarebbero stati visitati da un dio. Se il paziente era fortunato, Asclepio stesso lo avrebbe visitato. Il paziente avrebbe quindi ricevuto il trattamento adeguato mentre era in sogno o avrebbe ricevuto istruzioni da Asclepio su quali fossero i passi necessari per curare il disturbo. Se Asclepio non visitava il paziente, quando il paziente si svegliava, raccontava il suo sogno a un sacerdote o ad un interprete dei sogni e a seconda del tipo di sogno avrebbe ricevuto un certo tipo di trattamento. (fonte wikipedia)

INFO

Lockdown e disturbo post traumatico da stress

 

Un articolo che analizza le possibili  ripercussioni che avrà l’epidemia di covid-19, i danni collaterali non calcolati, lo “tsunami emotivo” che è in corsa per raggiungere le persone che saranno coinvolte . Per far fronte a tutto questo serviranno professionisti che si sono preparati nel silenzio, lontano dai riflettori e dalle dirette televisive, serviranno persone  solide ed equilibrate, consapevoli  e ben preparate nell’arte della “cura”. 

Cosa implementare:

  • Unità di intervento sul territorio, a cui possano essere indirizzate le persone con stress post traumatico
  • Personale addestrato a lavorare con il trauma
  • Informazioni dettagliate e capillari per comunicare che una reazione psicologica allo stress  è NORMALE
  • Siti e app che possano raccogliere le richieste
  • Lista di attesa delle  persone in crisi acuta da prendere in carico in tempi brevi

Lorenzo Pierobon

 

ecco il link  per l’articolo completo in inglese Written by Dr Elke Van Hoof, Professor, health psychology and primary care psychology, Vrije Universiteit Brussel