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Recensione: la notte della Sibilla, un rito musicale – 4 giugno 2022

LA NOTTE DELLA SIBILLA

CASA KEYOU, 4 GIUGNO 2022 con Giusi Zaccagnini, Lorenzo Pierobon, AnnA Taddonio

Battiti potenti di tamburo scuotono il vocio che subito si zittisce. Si dissipa, di colpo, il velo della quarta parete: entriamo tutti nella magia dell’Arte e si percepisce che quei battiti stanno cambiando le vibrazioni della Shala e le nostre, interiori.Ogni tanto un richiamo d’uccello irrompe, si insinua e si propaga come un’eco misteriosa.

Inquietante? Quei suoni, in fondo, lo sono, come tutti i richiami, e dicono: “Preparati, anima, all’incontro! Vexilla initura sunt. Sibilla venit[1]…”.E proprio quell’inquietudine è la chiave d’accesso che prepara all’evento: un occhio disposto a cogliere l’azione teatrale/rituale, l’altro pronto a guardare in interiore hominis. E il ritmo insiste, incalza e fa da tappeto agli altri suoni che evocano immagini, fors’anche emozioni, ma ancora senza precisa identità.

Quand’ecco, come dal cunicolo dell’antro, avanza Lei. E vengo catapultata a Cuma, in quel corridoio di passaggio che sta nella mia memoria di studentessa.Lei, avvolta e nascosta da veli, accompagnata da tintinnii di sonagli e da bagliori evanescenti. Anche Lei inquietante, perché pienamente avvolta dal Mistero, a cui si aggiungono le nostre aspettative e, forse, i ricordi dell’immaginario.

Avanza, maestosa, con lentezza, entrando con circospezione nello spazio sacro, appositamente per Lei predisposto con fumigazioni sapienti e rituali.E comincia il disvelamento, lentamente, quel poco che serve ora. E poi ancora e ancora.Finché un urlo acutissimo squarcia inaspettatamente il silenzio, appena sostenuto dalle Voci di AnnA Taddonio e Lorenzo Pierobon.

Il cuore accelera i battiti, ma quell’urlo ha avuto il potere di tacitare la mente e, in fondo, anche le meravigliate attese degli spettatori.È come se si fosse formata una bolla fuori dallo spazio-tempo e non ci fosse più distinzione fra pubblico, musicisti (che hanno sempre intessuto con Lei un dialogo potente di suoni e Voci dalla grande forza evocatrice) e la Sibilla stessa, che da quel momento ha costituito il focus per tutti gli astanti.

Davanti a Lei, fra due lanterne, è posta una grande ciotola tibetana che contiene le nostre domande o delle parole-chiave su cui ha dato i suoi responsi oracolari, mirabilmente improvvisando (l’attrice, Giusi Zaccagnini) per più di un’ora, con acute e profonde osservazioni e con saggi consigli, pur non sapendo da chi provenissero le domande e le suggestioni tematiche; io credo, però, in base alla mia personale esperienza di quella sera, che si sia comunque sintonizzata con i presenti, molto più di quanto Lei stessa possa aver immaginato, incarnando davvero, e non solo per finzione teatrale, il ruolo della Sibilla. Ogni piccolo foglio viene pescato dalla ciotola sonora e riposto con pari cura, con una mano rispettosa e forse guidata da mani “altre”… Chissà?! Amore, Chiave, Malattia, Mistero… un mondo dietro ogni parola. Sarebbe stato facile cadere nella banalità, ma questo non è stato, mai. Anzi!

“Così la neve al sol si disigilla /così al vento ne le foglie levi / si perdea la sentenza di Sibilla.” (Dante, Par. XXXIII 64-66)

Eppure quell’Essere misterioso, dalla voce talora potente e penetrante, a volte inquietante, altre volte pari a un soffio di vento, con il passare del tempo e dei responsi, si è via via completamente dis-velato, palesando alla fine solo la Donna, potente e fragile, umile ed eccelsa; donna fra le donne, umana fra gli umani. E con un altro urlo lacerante ha sigillato la fine del suo intervento. Alfa e Omega impresse su una lapide ideale con la sola forza della Voce. Ma la suggestione non sarebbe stata così potente, se ogni momento non fosse stato preparato e accompagnato, sostenuto e sottolineato dalle magiche sonorità prodotte da AnnA e Lorenzo: tamburi sciamanici, gong, campane tibetane… e i canti ispirati che, a momenti, mi hanno dato l’impressione che provenissero dal sancta sanctorum di un tempio, tale era la mirabile sacralità delle Voci.Arte che nasce dalle connessioni, dall’Ascolto reciproco, da una sorta di sintonizzazione spontanea, che ha del miracoloso. E con profonda riconoscenza ringrazio chi ha ideato, realizzato e ospitato questa “Notte della Sibilla”, perché, oltretutto, mi ha ricordato quanto scrisse Servio nel suo commento all’Eneide di Virgilio: “Si dice Sibilla ogni fanciulla che abbia la capacità di accogliere la divinità nel suo petto”.

Se ci ricordassimo più spesso questa “verità”, daremmo più frequentemente Voce al Divino che è in noi e diventeremmo davvero “profetesse” del nostro deus interiore. Perché “profeta”, contrariamente a quanto generalmente si pensa, non è colui che “dice prima” gli eventi futuri, ma chi parla “al posto di…” un “dio”, si fa ispirare, invasare dall’enthousiasmòs, l’ispirazione divina (il furor dei Latini).

Ma la buona notizia (e non è affatto una novità, sia chiaro) è che questa Voce non va più ricercata in un “altrove” fuori di noi (in latino “altrove” si dice alibi… un caso?), ma, con espressione già precedentemente usata, in interiore hominis.

Lì è la sede, nell’umiltà del più potente incontro con la nostra parte divina.

Maria Rita Piva

[1] I vessilli stanno per entrare. La Sibilla viene.

Voce Fluida

un esperimento sociale, una profanazione artistica, un azzardo. Due voci dialogano in un flusso continuo di suoni.
Dall’inizio alla fine, poeta e cantante dialogheranno attraverso un flusso di coscienza, creando composizioni istantanee e dando vita ad una sola, unica e irripetibile, voce fluida.
A conclusione della performance, per chi lo vorrà, alcuni interpreti del Coro Diverso saranno disponibili per il “massaggio poetico”.

 

 

Lorenzo Pierobon: haiku


Dalla chitarra elettrica alla sola voce. Dal Rock al canto armonico. Storia di una conversione sulla strada dell’oriente. E’ la storia di Lorenzo Pierobon. Negli anni Ottanta era il cantante (molto rock) degli “Alter Ego”. Poi arrivarono gli “Ivò”, nel ‘95 fonda il trio Ku, con cui realizza concerti, cd e anche videoinstallazioni. Nel nuovo millennio, entra a far parte dei Nebula fino a dar vita al progetto Dolphinsafe nel 2004. Oggi,  nel 2013 è la voce di “Haiku”. Un disco particolare, di sola voce, come prevede il canto armonico di cui Pierobon è cultore da diverso tempo. Una conversione avvenuta sulle tracce di Gengis Khan, nella terra dei mongoli, nel lontano oriente agli inizi degli anni Novanta.
Galeotti furono anche alcuni incontri con persone importanti e i viaggi. “Sentivo il bisogno di sperimentare qualcosa di diverso con la voce – ha raccontato Pierobon – significativi sono stati alcuni maestri e il viaggio in Mongolia, considerata la terra d’origine del canto armonico.”
E’ così che Pierobon si avvicina al canto armonico. Lo sperimenta. Lo approfondisce, lo diffonde fino a pubblicare un disco: “Haiku”. Appunto. “Haiku – ha spiegato ancora il musicista, è il nome delle poesie giapponesi, brevi, spesso brevissime. Essenziali, come vuole essere l’espressione che si affida alla sola voce”. E ha proseguito: “Da una sola vocale – ha spiegato Pierobon – è come se si dischiudessero mondi e galassie emotive inesplorate. Da una sola vocale si possono costruire architetture molto complesse”. Undici i brani presenti in “Haiku” espressione della voce in tutta la sua purezza e potenza allo stesso tempo. In alcuni passaggi la modulazione può richiamare anche i canti gregoriani o la musica sacra. Ma Haiku è altro. Una musica non certo commerciale o popolare.
“Certo – ha sottolineato ancora il cantante, quarantanovenne monzese – questa del canto armonico è una proposta particolare. Il pubblico sarà di nicchia  ma allo stesso tempo molto trasversale: dai professionisti ai semplici curiosi che hanno voglia di imparare a conoscere le straordinarie potenzialità della voce.Pierobon modula la voce come se fossero le corde di un violino, il suono si sdoppia e diventa armonia. La sua è una musica vocale che offre suggestioni, il resto, le emozioni, dipenderanno dalla sensibilità dell’ascoltatore. Haiku è il primo disco da solista di Lorenzo Pierobon, il primo dopo la sua “conversione”. Non sono mancate invece le pubblicazioni come il libro “Suoni dell’anima. L’essenza nascosta della voce” del 2009. “Soulscapes” risale al 2011 in coppia con David Rossato.
Ora c’è Haiku. Sola voce. Solo Pierobon.
(Giusy Taglia per il Cittadino di Monza)


 

Frasi minimali, succinte ma pregne di significato, in cui il poeta traspone in parole le proprie suggestioni. é la tradizione degli haiku, tipica della cultura più antica del Giappone.
In essa ritroviamo numerosi riferimenti alla filosofia Zen, che ne costituisce proprio un elemento fondante. Solitudine, nostalgia, pace interiore, armonia con la natura sono alcuni degli stati d’animo di questi brevi, essenziali componimenti poetici. Ispirandosi a tale letteratura nipponica, il vocalist e musicoterapeuta Lorenzo Pierobon ha realizzato un nuovo cd intitolato proprio haiku. Il risultato è un percorso di undici brani interpretati secondo gli stilemi del canto armonico. Protagonista assoluta è la voce di Lorenzo Pierobon, che trasforma una semplice nota in un mondo sonoro variegato e multiforme: così che questo mondo può essere interpretato da ciascun ascoltatore in modo soggettivo, a seconda delle suggestioni evocate e del proprio paesaggio interiore. Ogni traccia è sviluppata senza orpelli, senza strumenti musicali, né voci altre: un lavoro che metaforicamente trasla in musica immagini ed emozioni che affondano nel mondo Zen, privo di un inizio e di una fine. Il cammino vocale evoca una sorta di circolarità attraverso gli armonici (overtones), spiegati tra l’altro nel libro Suoni dell’anima, l’essenza nascosta della voce (Minerva, 2009) scritto a quattro mani da Lorenzo Pierobon e Veronica Vismara. Partendo da una sola nota, da un solo vocalizzo, il maestro di canto armonico crea una sequenza multidimensionale di suoni, che rappresentano quelli posti al di sopra della nota iniziale che funge da perno. Solo ascoltando e soprattutto vocalizzando gli armonici si può comprendere davvero questo canto, le cui origini si perdono nella notte dei tempi e travalicano frontiere sia culturali, sia geografiche. Li ritroviamo in Mongolia, in Tibet, così pure nelle espressioni liturgiche tipicamente Gregoriane, quindi impregnate di Occidente e Cattolicesimo. A differenza degli haiku, che esprimono chiaramente le concezioni filosofiche tipicamente orientali, gli armonici non possono essere inquadrati in nessuna cultura, né in alcuno spazio fisico. Sono “semplici” canti che risuonano nella persona, tra l’individuo e l’ambiente. Il processo sonoro è duplice: dall’interno del corpo la voce si propaga espandendosi all’esterno, creando un legame tra micro e macrocosmo. Ecco perché chi pratica il canto degli overtones avverte sensazioni che vanno oltre la materia e la realtà tangibile, per approdare a una dimensione di profonda spiritualità. Questo lo si avverte ascoltando il progetto haiku realizzato da Lorenzo Pierobon, musicoterapeuta versatile che dimostra ancora una volta la sua sensibilità sonora attraverso note misurate, altamente evocative.
(Silvia Turrin per Amadeusonline)


 

Musica. L’intera essenza dello strumento vocale nel nuovo disco di Lorenzo Pierobon. “Haiku”, con un richiamo alla poesia giapponese breve
Prima di parlare del nuovo disco di Lorenzo Pierobon, dal titolo “Haiku”, mi sorge spontanea una domanda: siamo consapevoli che la voce è uno strumento musicale vero e proprio? Più precisamente è uno strumento che possiamo definire “a corde”, dove l’aria che passa attraverso le corde vocali, facendole vibrare, produce una serie di suoni propagati e amplificati dalla cassa toracica, che fa da cassa di risonanza, esattamente come la chitarra acustica o la grancassa della batteria, e la bocca contribuisce con i suoi movimenti ad emettere suoni continui o discontinui: il tutto con una coordinazione naturale che può ovviamente essere incanalata a seconda di cosa si vuole rappresentare o esprimere.
In questo ambito si muove il nuovo disco di Lorenzo Pierobon, appunto “Haiku”, con un richiamo alla poesia giapponese breve, dato che abbastanza brevi sono le undici tracce del disco (una di queste undici è in realtà una long-version di una traccia precedente, unico pezzo apparentemente contro-corrente rispetto all’idea di “Haiku”). La sensazione sin dal primo ascolto, considerando che si tratta di sole composizioni vocali, senza nessuno strumento aggiuntivo, è quella di stare ascoltando l’intera essenza dello strumento vocale.
Siamo probabilmente abituati a sentire una canzone moderna con composizione classica: chitarre, tastiere, basso, batteria in cui la linea vocale esalta le caratteristiche del genere musicale o il timbro del cantante garantisce quel quid in più alla canzone, oppure possiamo essere dediti all’ascolto di musica classica, piena di arrangiamenti strumentali studiati ad hoc per garantire all’opera un certo effetto (allegro, adagio, forte), ma difficilmente siamo inclini ad ascoltare qualcosa del genere presente in “Haiku”. La voce assume contemporaneamente più ruoli: linea principale, linea armonizzata, tappeto ritmico, accenti, il tutto combinato al punto da non sentire la mancanza degli altri strumenti. L’ascolto, a ben vedere, non è semplice, probabilmente un ascolto superfluo potrebbe portare a dire “Sono tutte uguali” oppure “Cosa sono? Canti Gregoriani?”, quello che più si apprezza è l’esaltazione vocale, spaziando, vero, nella musica sacra (Gregoriana certamente), ma anche con numerosi citazioni che ricordano l’Oriente o l’Est Europa.
Nel complesso non è un lavoro accessibile a tutti, nel senso che va apprezzato proprio per la diversità d’ascolto. Se calato nel mondo della musicoterapia, di cui Lorenzo Pierobon è un fiero rappresentante , un mondo fatto di comunicazione musicale a fini terapeutici, questo tipo di esperimento musicale di sicuro assume ancora più valore, sposandosi perfettamente con il target prefissato.

(Marco Caruso per vorrei.org )


 

“Haiku” l’evocativo titolo scelto per questo album sui generis, che prosegue e amplia un percorso di ricerca introspettiva focalizzato sulle potenzialità espressive (nonché terapeutiche) del canto armonico molto caro all’autore. Altrettanto chiara, sin dal nome, l’ispirazione ai caratteristici componimenti poetici giapponesi composti da tre versi. Una suggestione orientale che è essa stessa parte integrante della biografia di Pierobon.

(Alessandro Lanza per il Giornale di Monza)


 

Questi undici brani di “sola voce” parlano la stessa lingua di una polaroid, di una istantanea che estrae dal continuum della vita, una porzione di fiume da tenere sempre in tasca. Da una vocale: che sia una “A” od una “O” od una “E” si dischiudono mondi, galassie emotive inesplorate, ogni vocale si fa abside, catino, navata, cattedrale oppure ci trasporta ai piedi e in cima ad una montagna, o ancora si fa traversata di dune del deserto, pellegrinaggio tra le colline. Questi haiku vocali  sono la prova sonora che si può costruire un’architettura con una sola vocale, o con meno ancora: della voce può bastare anche una sola increspatura. Ovunque  ci conduca Lorenzo Pierobon, sentiamo che il luogo in cui siamo approdati è sacro, e ben al di là di qualsiasi religione costituita.

(Dome Bulfaro per Poesiapresente)