La liquida pulsazione che sale nell’oscurità quasi completa della sala accentua il mistero di questo ambiente antico e perduto nello spazio; la voce che ad un certo punto si materializza nel silenzio proviene da remoti angoli della Storia, racconta vicende dimenticate, vicende di epoche distanti, parla dell’Uomo. Galleggio insieme ai temerari amici che hanno anche stavolta deciso di arrampicarsi fino a Due Acque per assistere al concerto di Lorenzo Pierobon, cantante dei Ku che ha scelto di intraprendere un’avventura solista. In piedi davanti a noi – un microfono, un riverbero, una macchina per loops – Lorenzo si trasforma via via in un monaco eremita, in un cavaliere Templare, in un condannato a morte, in un pastore errante dell’Asia, in uno sciamano, in un alchimista chiuso nel suo antro. Melodie appena accennate, silenzi e ancora melodie: è uno strano e magnetico miscuglio di suoni antichi, suoni catturati nel labirinto del Tempo. La voce si sovrappone alla voce, le scheletriche trame elettroniche sprofondano l’esperienza dell’ascolto in abissi senza fine, le pareti in pietra sembrano unirsi al canto, sembrano riconoscerne la provenienza, ne assorbono ogni stilla, rimandando echi appena sfumati. Percepisco l’emozione della gente, la sorpresa per tanta umanità, per tanta poesia, per tanta sottile sofferenza, forse esperienza diretta del vivere. Percepisco suoni che sembrano essere sempre stati qui, da secoli, ora riportati in vita da Lorenzo. La performance – un tunnel elettronico-vocale – è un lungo flusso di toni drammatici, invocazioni, preghiere, e ricorda per fattura e profondità le gesta di Christian Wolz. Ricordo alcuni passaggi particolarmente belli: statiche frequenze elettriche ad illuminare la voce; rintocchi di ciotole tibetane e vocalizzi nel buio; fruscii naturali che improvvisamente ampliano la scena, portandola oltre le mura. Isolare però questi momenti non renderebbe giustizia ad un’esibizione che va giudicata nella sua coralità, per il suo ampio respiro. Ad un certo punto Lorenzo mi fa un cenno, mi unisco a lui per un breve brano di commiato: libero dalle preoccupazioni della gestione delle macchine, si concentra sulla sua voce e fa volare il canto sugli sfondi cangianti che inizio a suonare al mio synth. Sono 10 minuti di armonici penetranti e infiniti, 10 minuti che riportano in superficie gli ascoltatori, 10 minuti che fanno tornare la luce dopo tanto buio dell’anima, dopo tanto vagare nei mondi del sogno, dell’incubo e della disperazione. Prova di grande maturità e di impatto per questo giovane artista milanese che si occupa di musicoterapia, e concerto tra i più coinvolgenti della nostra storia. La sua crescita artistica (e quindi umana) è evidente. Alla fine, il tradizionale cerchio tra i partecipanti è più intimo che mai, con interventi semplici ma significativi: tutti sottolineano la maiuscola prova di Lorenzo, la sua capacità di comunicare, il fatto di aver assistito ad un qualcosa di speciale. Si replica a giugno, quando Lorenzo tornerà per insegnare a cantare gli armonici; ci sarà spazio per poche persone, che potranno anche assistere ad un suo nuovo concerto.
Gianluigi Gasparetti (Deep Listenings 2002)
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