In tutte le antiche civiltà la musica ha rivestito spesso il ruolo di contatto con il “divino”, non veniva considerata come opera dell’essere umano, ma come quella di un essere sovrannaturale.
Infatti il suono, proprio per la sua natura impalpabile, era qualcosa di incomprensibile e perciò misterioso e magico. I riti di guarigione diretti dallo sciamano venivano frequentemente accompagnati dalla musica, la quale diventava il mezzo di comunicazione con lo spirito della malattia e lo strumento di dominio della stessa. Attraverso la prolungata monotonia del ritmo, la musica esprimeva la volontà di guarigione dello sciamano e svolgeva una funzione ipnotica. Nel canto si avvicendavano parole di persuasione o minaccia, seguendo una melodia che diventava più lenta o più veloce, più grave o più acuta a seconda delle fasi del rito di guarigione.
La convinzione primitiva che la malattia fosse provocata da uno spirito maligno durò a lungo, specialmente in riferimento ai disturbi mentali. La musica quindi diveniva lo strumento di persuasione (e propiziatorio) e acquistava un significato più propriamente religioso. Fu la civiltà greca ad accostarsi in maniera più razionale all’elemento sonoro-musicale. La musica fu adoperata come mezzo curativo o preventivo supponendo che certi modi (combinazione di suoni in successione) avessero un valore emozionale. Platone riteneva che ciascun modo producesse effetti specifici sui costumi morali, Aristotele raccomandava l’impiego del modo dorico che infondeva coraggio o di quello lidio più adatto ai bambini piccoli.
Anche gli strumenti svolgevano delle funzioni ben definite; il flauto era lo strumento ritenuto in grado di destare le passioni e per questo Aristotele affermava che doveva essere usato solo quando l’oggetto della musica era la purificazione delle emozioni e non lo sviluppo della mente. In epoca romana, l’uso del suono come terapia di guarigione, conservava forti influenze derivanti dalla cultura greca.
Nel medioevo ritroviamo la musica/suono utilizzata nelle pratiche religiose o per riti magici (nei sabba le streghe ballano ritmi frenetici per invocare i demoni). Di nuovo la malattia era vista come possessione ( i tarantolati ne sono un esempio tramandato fino ai nostri giorni) e la musica riacquistava connotati magici. Dobbiamo arrivare al periodo rinascimentale per ritrovare la musica come strumento terapeutico, studiata in maniera razionale e scientifica. Dal 1500 in poi, numerosi uomini di medicina si interessarono a quest’arte; alcuni la concepivano semplicemente come mezzo di evasione, altri invece approfondirono gli studi sulle modificazioni fisiologiche indotte dalla musica, studiandone gli effetti prodotti sulla pressione sanguigna, sul respiro, sulla digestione e scoprendo relazioni tra i ritmi corporei e quelli musicali. Da allora fino ai nostri giorni, esistono numerose testimonianze sull’uso dell’arte musicale come strumento terapeutico. Il termine musicoterapia però, è stato coniato e utilizzato solo a partire dagli anni ’50, quando negli Stati Uniti si ottennero i primi risultati positivi introducendo la terapia musicale negli ospedali per veterani di guerra.
Lorenzo Pierobon © 2021
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